Terapia chelante

Chelante

Introduzione


Il termine “chelazione” è derivato dalla parola greca” chele “ che si riferisce alle tenaglie di un granchio o di una aragosta ed implica l’azione di un legame stabile simil-pinza di un composto ad uno ione metallico (catione). Una più completa definizione è “una reazione in equilibrio fra uno ione metallo e un agente legante caratterizzato dalla formazione di un legame tra il catione e l’agente legante il cui risultato è l’incorporazione di questo ione metallo dentro la struttura ad anello”.

I composti chelanti sono omnipresenti in natura. Per esempio, la clorofilla è un chelante del magnesio e l’emoglobina è un chelante del ferro. La terapia chelante è ampiamente accettata in medicina per rimuovere i minerali tossici quali il piombo, l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il ferro, il rame, l’alluminio, il nichel dal corpo.
Si può utilizzare l’EDTA nel trattamento delle  malattie alle arterie o alle coronarie e per le malattie neuro degenerative quali Sclerosi Multipla  Morbo di Parkinson, Alzheimer, ed anche nelle patologie vascolari dell’occhio quale Maculopatia.

Metalli tossici


In generale si definiscono metalli pesanti quei metalli con numero atomico superiore di quello del ferro (55) con una densita’ molto elevata e che sono causa comune di inquinamento e tossicita’ negli organismi biologici.

ALLUMINIO
È un minerale molto diffuso, e fino a poco tempo fa considerato inerte, quindi non tossico. In realtà vi sono ormai evidenze sufficienti per ritenerlo implicato in alcune patologie, come alcuni tipi di cancro e di malattie neurologiche. La contaminazione avviene soprattutto attraverso:
– sale da cucina (solo se addizionato a silicato di alluminio come antiagglomerante)
– farina bianca (è contenuto nello sbiancante)
– fogli di alluminio
– contenitori di alluminio
– lattine
– antiacidi
– amalgame dentarie
– pentole e utensili da cucina in alluminio
– deodoranti
– lieviti in polvere
– formaggi fusi (come emulsionante)
– acque depurate con solfato di alluminio per azione battericida
L’alluminio viene assorbito a livello intestinale, anche se scarsamente. La maggior parte dei 10-100 mg presenti nell’alimentazione (tutti gli alimenti anche se non contaminati contengono tracce di questo metallo) viene escreta con le feci. L’alluminio si lega soprattutto al DNA e si deposita in particolare nel cervello, dove provoca danni alla cellula neuronale. A livello generale può provocare stipsi, cute secca, cefalea, disturbi della memoria. Come abbiamo visto le fonti di possibile contaminazione e accumulo dell’organismo sono quasi tutte controllabili individualmente: si tratta di evitare di utilizzare utensili da cucina in alluminio  e di limitare il consumo di cibi o bevande conservati in contenitori di alluminio. Amalgame e antiacidi possono essere sostituiti dal dentista e dal medico con prodotti che non contengono alluminio. Non è possibile rimuovere per chelazione l’alluminio presente nell’organismo attraverso una terapia orale con minerali, e risulta quindi ancora più importante l’adozione di misure preventive. Nei casi gravi può essere effettuata una terapia con un farmaco (EDTA), direttamente sotto stretto controllo medico.
ANTIMONIO
L’antimonio (Sb) è un elemento non essenziale che è chimicamente molto simile all’arsenico. Come per l’arsenico, il capello è un tessuto significativo per determinarne l’esposizione o un accumulo organico.
Il cibo e il fumo sono i normali veicoli di contaminazione da antimonio. La polvere da sparo contiene spesso antimonio. Un’altra possibile fonte sono i tessuti ignifughi a contatto con la pelle.
Si sono rilevati elevati livelli di antimonio sul capello anche dopo un anno dall’esposizione. Frequenti segni di eccessi di antimonio sono: affaticamento, debolezza muscolare, miopatia e sapore metallico in bocca. Sintomi successivi possono includere disfunzioni cardiache. Un assorbimento attraverso la cute può portare a “macchie da antimonio” che ricordano la varicella. L’inalazione di polveri o particelle di antimonio può causare irritazione dei tessuti respiratori. L’esame delle urine può confermare una esposizione recente, o in corso, all’antimonio.
ARSENICO
L’arsenico (As) è oggi un comune inquinante ambientale: viene prodotto durante il ciclo di lavorazione di alcuni metalli come il rame, il piombo e l’argento e nella combustione del carbone. L’arsenico non organico è estremamente tossico.
Esistono tre forme cliniche di intossicazione, caratterizzate da sintomi diversi: l’avvelenamento acuto, quello cronico e l’intossicazione cronica (la meno grave).
Le fonti di contaminazione per l’uomo sono fondamentalmente quelle di tipo alimentare: pesci e molluschi, pollame (mangimi industriali), verdure trattate con antiparassitari (piombo arseniato), aria e acque in generale inquinate.
In parte l’arsenico pare essere un elemento essenziale, anche se in piccolissima quantità; si accumula negli organi filtro (fegato, rene), nella milza, nel tessuto nervoso, e ha particolare attitudine a legarsi con lo zolfo; poiché il capello è formato in larga misura da zolfo il suo valore al mineralogramma è un buon indice della presenza di arsenico nei tessuti. È assorbito a livello intestinale ed escreto con estrema lentezza: questo spiega l’effetto tossico
per progressivo accumulo. I danni dipendono dalla quantità e dal tempo di ingestione. Si può avere l’avvelenamento acuto, con sintomi gastroenterici e renali: si tratta di un evento grave, anche mortale. L’avvelenamento cronico determina lesioni cutanee (indurimento e macchie sulla pelle, edemi e gonfiori alle
palpebre e alle caviglie, bruciori e perdita dei capelli). Nell’intossicazione cronica i sintomi sono molto sfumati e soprattutto possono essere attribuiti ad altre cause (irritabilità e depressione, dermatiti esfoliative, polineuriti, epatite tossica o cancro a carico delle mucose).
L’arsenico in generale blocca il funzionamento dei sistemi enzimatici e provoca la rottura dei cromosomi.
La prevenzione risiede nel controllo delle forme di inquinamento ambientale. Nelle situazioni di avvelenamento è importante il riconoscimento, l’immediata diagnosi e il tempestivo intervento terapeutico con farmaci adatti (BAL). L’accumulo cronico di arsenico, comunque raro, non è facilmente trattabile e si avvale di alti dosaggi di vitamina E e selenio.
BERILIO
Il berillio è tossico per l’uomo e per gli animali, qualunque sia la via di assunzione. Il berillio è rintracciabile sul capello, ma manca qualunque documentazione che ne colleghi la presenza ad esposizione o alla quantità presente nei tessuti organici. Il berillio non viene assorbito facilmente dal tratto gastrointestinale, mentre la pelle e i polmoni lo assorbono immediatamente. Il berillio, se è in eccesso, può portare a disfunzioni del sistema immunitario con reazioni di ipersensibilità.
Possibili fonti di berillio sono: componenti elettronici, leghe metalliche utilizzate nell’areonautica e nelle applicazioni aerospaziali (in particolare leghe alluminio-rame-berillio), cuscinetti a manicotto, lenti trattate, e alcuni luminofori per lampade fluorescenti. L’analisi delle urine può confermare un’esposizione al berillio. Il berillio è espulso molto lentamente con le urine e può essere trovato ad alti livelli molti mesi dopo l’esposizione.
BISMUTO
Nessuno studio pubblicato ufficialmente documenta una relazione tra un’esposizione al bismuto (Bi) e il riscontro di un alto livello di bismuto nel capello.
Il bismuto è un elemento non essenziale e di bassa tossicità. L’assorbimento dipende dalla solubilità del composto in cui si presenta il bismuto. Il bismuto insolubile viene espulso con le feci, mentre le forme solubili vengono eliminate con l’urina. Possibili fonti di bismuto sono: cosmetici (rossetti, lucidalabbra), antiacidi, pigmenti usati nella colorazione di vetro e ceramica e negli elettrodi delle batterie caricate a secco.
I sintomi di tossicità possono essere: costipazione o irregolarità intestinale, respirazione irregolare, occhiaie nere o violacee, malessere.
Un’analisi delle urine può essere utilizzata per confermare l’introduzione di bismuto avvenuta da qualche giorno a qualche settimana prima.
CADMIO
Il cadmio (Cd) viene usato nella produzione di colori (giallo e rosso), in molte leghe e nella produzione di batterie.
Quasi tutti gli alimenti contengono in misura variabile cadmio per effetto della contaminazione ambientale. In particolare viene rilevato nei pesci e nei molluschi. Nei cibi raffinati la sua presenza è costante, mentre è diminuita, per effetto del processo di raffinazione, quella di zinco, cromo, manganese, ferro, rame. La sua presenza acquista quindi un peso relativo maggiore.
È presente nelle sigarette e nei gas di scarico, nella combustione della plastica, nell’acqua (tubature, in particolare quelle galvanizzate o in plastica nera) e nei fertilizzanti fosfati. Il cadmio può essere assorbito per qualsiasi via. Il suo assorbimento intestinale è nettamente più alto in carenza di zinco, suo minerale antagonista, condizione frequente negli alimenti normalmente consumati. Non passa la barriera placentare, ma può bloccare e ridurre il passaggio di zinco e rame, essenziali per lo sviluppo del feto. Una carenza di ferro può determinare un aumento della quantità di cadmio assorbito. È un minerale estremamente tossico, secondo alcuni autori circa mille volte più tossico del piombo, al quale si avvicina dal punto di vista tossicologico, cioè per quanto riguarda gli effetti sull’organismo umano. Determina alterazioni cardiovascolari e ipertensione e il suo eccesso cronico può determinare sintomi variabili come iperattività (nel bambino), cefalea, perdita di appetito, caduta dei capelli, epatite tossica, diarrea, anemia, deficit immunologici e renali.
La prevenzione si avvale di misure di controllo sull’inquinamento ambientale, ma anche di misure di prevenzione individuale come l’astensione dal fumo e un adeguato apporto di zinco. La terapia infatti si avvale principalmente dello zinco, in presenza del quale la quantità di cadmio assorbita è minore per un meccanismo competitivo. Inoltre questo antagonismo è presente anche all’interno dell’organismo.
Le dosi terapeutiche d’attacco in caso di eccesso di cadmio rilevato al mineralogramma sono di 50-100 mg di zinco/die, poi riducibili ad una somministrazione giornaliera adeguata al riscontro dei controlli successivi del mineralogramma.
Altri presidi utilizzabili sono la vitamina C come disintossicante, la vitamina B6 alle dosi di almeno 100 mg/die, gli aminoacidi solforati e le leguminose.
MERCURIO
La contaminazione del suolo e delle acque è la via che il mercurio (Hg) segue per arrivare all’uomo attraverso la catena alimentare. La sua forma tossica è quella organica e le fonti più frequenti attraverso cui raggiunge l’organismo sono le amalgame dentarie, i residui dello smaltimento delle pile, i cibi contaminati (in particolare pesci) e i residui dell’industria cartaria e plastica. L’assorbimento può avvenire sia per inalazione sia per ingestione. La dose mortale per l’uomo è
di 1-4 grammi. Il mercurio si accumula nell’organismo al pari degli altri metalli tossici e si deposita anche nei capelli, che possono essere presi come campione per l’analisi. Il mercurio è particolarmente lesivo a livello cerebrale. La sua liposolubilità, cioè il fatto che si sciolga nei grassi, ne permette una diffusione rapida e uniforme attraverso le membrane cellulari nell’interno della cellula, dove interferisce con il corretto funzionamento del sistema. I sintomi più appariscenti sono quelli a carico del sistema nervoso, come tremori, disturbi psichici ed emozionali, convulsioni, paresi nei casi gravi, irritabilità, depressione e insonnia. Altri
segni sono infiammazioni gengivali, irritazioni della pelle, perdita di peso e di appetito e anemia. Il feto e il neonato sono particolarmente sensibili a questa sostanza tossica, che passa la membrana placentare. Quantità adeguate di selenio nella dieta proteggono dagli effetti tossici del mercurio.
La prevenzione si avvale soprattutto dei controlli sulle derrate alimentari, sull’uso dei pesticidi e sul controllo degli smaltimenti (raccolta differenziata).
La terapia più specifica è l’utilizzazione del selenio che lega il mercurio in un composto inattivo (selenito di mercurio). Inoltre il selenio è un potente antiossidante che contribuisce a diminuire i danni recati dal mercurio al sistema nervoso. Può essere usato il lievito di birra che contiene discrete quantità di selenio. Il selenio può essere assunto anche come selenito di sodio, oppure in formulazioni che lo contengono assieme alle vitamine A, C ed E, che ne potenziano l’azione disintossicante ed antiossidante.
PIOMBO
La fonte più comune e più importante di piombo (Pb) rimane l’inquinamento da traffico (scarichi dei motori a benzina con piombo). Tra le altre fonti ricordiamo le sigarette (se le piante di tabacco sono trattate con arseniati di piombo a fini insetticidi), i vegetali e gli ortaggi coltivati in zone ad alto traffico automobilistico. L’acqua di rubinetto può contenere piombo (la legge ammette fino a 0,05 mg/l per le acque potabili). Il piombo può essere assorbito per via cutanea (scarsamente), per via intestinale (poco rilevante, circa un decimo dell’apporto giornaliero che è di 120-350 nanogrammi) e per via respiratoria (decisamente più importante, dal 30 al 50% di quello inalato) e in particolare nei bambini.
Il piombo si deposita nell’organismo, nel rene, nel fegato, nel cervello e nelle ossa; in queste ultime viene praticamente isolato e non esercita quindi, fino a che non viene rilasciato, effetti tossici. Il piombo passa la barriera placentare raggiungendo così il feto, la cui sensibilità è di 40 volte superiore a quella dell’adulto. Adeguate quantità di calcio e ferro nella dieta sembrano limitare la possibilità di assorbire il piombo.
I maggiori danni si verificano nei bambini, dove il piombo determina sovraeccitamento, difficoltà di concentrazione e memorizzazione, danni cromosomici e diminuzione delle resistenze alle malattie infettive. Nell’adulto può determinare stipsi, coliche addominali e anemia. È evidente che il più importante mezzo terapeutico è la prevenzione, attraverso il controllo dell’inquinamento. Poiché le fonti sono ambientali, la prevenzione individuale non riveste particolare interesse, mentre è rilevante quella sociale.
L’analisi mineralografica consente di poter intervenire eventualmente prima che si manifestino i segni di un’intossicazione acuta. La terapia deve essere seguita con attenzione se esiste il rischio di liberare grande quantità di piombo dal tessuto osseo. Ad esempio è importante assicurarsi, soprattutto nei bambini, che vi sia un adeguato apporto di calcio, che è un antagonista selettivo del piombo.
Un eccessivo apporto di vitamina D può essere nocivo, nella misura in cui si viene a determinare una carenza relativa di calcio.
La terapia si avvale di diversi rimedi, in relazione agli obiettivi. Antagonisti diretti del piombo, che riescono a sostituirsi ad esso, sono il calcio e lo zinco (500-1000 mg per il primo e 30-80 mg per il secondo). Per legare il piombo si possono utilizzare anche l’alga kelp o le leguminose.
Per i danni nervosi si può assumere lecitina, che esercita una azione protettiva sulla guaina che riveste i nervi. Esercitano invece azione antitossica generale le vitamine del gruppo B e le vitamine A e C.
PLATINO
Il platino (Pt) non è un elemento essenziale e ha una bassa tossicità. È stata rilevata la sua presenza nell’aria, ma non esiste una documentazione relativa all’esposizione dell’uomo e a un rapporto tra platino e tessuti organici.
Il platino è scarsamente assorbito dall’intestino ma può essere assorbito per inalazione. Siccome è un elemento piuttosto raro, la maggior parte delle esposizioni al platino è di origine professionale. Negli ultimi anni si è riscontrato un leggero aumento del platino presente nell’ambiente a causa dell’uso del platino nelle marmitte catalitiche delle automobili.
I sintomi da contaminazione da platino possono essere: dermatiti, irritazione delle mucose, dispnea e asma (per inalazione di polveri o sali di platino), aumento delle reazioni allergiche croniche, nefrosi e immunosoppressione (dai sali di diammina di platino).
STAGNO
Sebbene lo stagno (Sn) possa essere considerato un elemento tossico, che nella sua forma organica provoca lesioni del sistema nervoso centrale (mielinopatie e degenerazione spugnosa), recenti studi sembrano mettere in evidenza, a concentrazioni molto basse, un suo ruolo fisiologico: la sua carenza sperimentale provoca alterazioni nella crescita e nella concentrazione di diversi minerali negli organi.
D’altra parte il suo eccesso interferisce col metabolismo di zinco, rame e calcio, attraverso modificazione dell’attività di alcuni enzimi.
Non esistono studi sui range di normalità e di sicurezza relativi all’assunzione di stagno nella dieta. L’eliminazione urinaria superiore a 100 mg/die sembra indicare un eccesso di introduzione.
L’assorbimento e la ritenzione di stagno per via orale non sembra tuttavia elevata e l’eliminazione per via fecale è un efficiente meccanismo di compenso nel caso di introduzione eccessiva.
La fonte principale di stagno alimentare è rappresentata dai cibi inscatolati.
TALLIO
Il tallio (Tl)è un elemento altamente tossico che, come il piombo e il mercurio, si accumula in molti tessuti dell’organismo.
I livelli nel capello riflettono la situazione di accumulo cronico, mentre i livelli nel sangue non sono indicativi, salvo per i globuli rossi che assimilano rapidamente il tallio dal siero.
Le fonti più comuni del tallio sono: cibo (il tallio è 700 volte più concentrato nella fauna marina), tabacco, acqua inquinata, componenti elettronici, polveri e alcuni fertilizzanti.
Il tallio è rapidamente e completamente assimilato quando viene ingerito, assorbito attraverso i polmoni o attraverso la pelle.
L’eccesso di tallio provoca disturbi nel sonno, problemi cardiaci, visivi e dermatologici, disturbi epatici e disfunzioni renali. In presenza di un eccesso di tallio sono frequenti l’albuminuria e l’alopecia.
Il potassio, il selenio e gli idrogenosulfuri derivati contrastano l’accumulo di tallio e i suoi effetti tossici.
Spesso il tallio ha un lungo periodo di latenza prima che ne appaiano i sintomi.
TORIO
Il torio (Th) è considerato mediamente tossico per due ragioni: il basso livello di radioattività e la scarsa tossicità biochimica.
I sali di torio ad alti livelli possono inibire l’amilasi e la fosfatasi. La maggior parte del torio ingerito, se non viene espulsa con l’urina, si fissa al tessuto osseo dove ha un lunghissimo periodo di dimezzamento (anni).
Il torio è presente sulla Terra in quantitativi simili al piombo e lo si ritrova nei processi di estrazione del titanio e di elementi rari.
Commercialmente, il torio è usato come protezione per le lanterne a gas, nei materiali refrattari (il torio si fonde a 3300°C), e come protezione per il tungsteno nelle applicazioni elettroniche. È presente nei combustibili nucleari. Il torio può essere anche presente nelle saldature con elettrodo di tungsteno a protezione di gas inerte (TIG).
Non c’è una correlazione precisa tra il livello di torio nel capello e il livello di torio negli altri tessuti dell’organismo. Tuttavia, la presenza di torio nel capello può essere causato dai fumi delle saldature TIG o da altre sorgenti professionali o ambientali.
Un’analisi delle urine può essere eseguita per confermare ulteriormente una contaminazione sistemica di torio.
URANIO
Il capello è un tessuto rappresentativo per quanto riguarda l’accumulo di uranio (U) nell’organismo. Il sangue non lo è in quanto non lo trattiene a lungo a causa del rapido assorbimento da parte delle cellule e degli altri tessuti.
La maggior parte delle forme di uranio è scarsamente assimilata dall’organismo, con l’eccezione dei tessuti alveolari che assorbono facilmente l’uranio in sospensione nell’aria.
L’uranio è più diffuso nel terreno rispetto al mercurio, all’argento e al cadmio. Potrebbe essere presente, a bassi dosaggi, nelle falde di acqua potabile.
L’uso più comune dell’uranio in commercio è per il combustibile nucleare, ma l’uranio può essere presente nella ceramica, nei bicchieri colorati, specialmente quelli vecchi o antichi, e negli articoli di vetro colorati di giallo.
L’analisi del sangue e delle urine (preferibilmente quest’ultima), può confermare la presenza di un eccesso di uranio.

Metalli nutrizionali


Tutte le forme di vita hanno bisogno di elementi “inorganici” (diversi da carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, zolfo e fosforo) per svolgere i normali processi vitali. Nel linguaggio nutrizionale (cfr. Dietetica) comune si usa il termine “minerale” per indicare tutti gli elementi inorganici necessari, quasi tutti metalli.
Alcuni di questi come il ferro, il calcio, il sodio ed il potassio, sono presenti negli organismi viventi in concentrazioni significative, mentre altri come vanadio, cromo, manganese, cobalto, rame e zinco, sono presenti in traccia, ma ciononostante sono vitali per molti processi metabolici.

ARGENTO e ORO
L’argento (Ag) e l’oro (Au) vengono usati da molto tempo in terapia come oligoelementi, in particolare nelle situazioni di scarsa reazione generale alle infezioni o negli stati caratterizzati da scarsa reattività sistemica e astenia. Il loro livello nel capello non è stato correlato a dati clinici significativi e non sono state identificate funzioni fisiologiche attribuibili a questi minerali. La loro valutazione è utile come monitoraggio in terapia prolungate o nel caso risultino in eccesso.
BORO
Sebbene la funzione biochimica del boro nei tessuti umani sia ancora poco conosciuta, alcune ricerche hanno confermato l’influenza del boro (B) sul metabolismo degli ormoni steroidei. A volte l’iperparatiroidismo secondario sembra essere “potenziato” dalla contemporanea presenza di carenza di boro e magnesio e dalla presenza di elevate quantità di alluminio. Si può ipotizzare ragionevolmente che il boro influenzi in modo importante il metabolismo di molti altri minerali esercitando un ruolo regolatore mediato da strutture ormonali. I segni di carenza variano molto secondo la quantità di alluminio, calcio, vitamina D, magnesio e metionina presenti nella dieta. La sua carenza induce peraltro un aumento dell’escrezione urinaria di calcio e magnesio, una riduzione dell’estrogeno (il 17ß estradiolo) e del calcio ionizzato nel sangue. La carenza di boro, associata a carenze alimentari di magnesio e di rame portano anche ad una riduzione di 25-idrossicocalciferolo, mentre i valori serici di calcitonina e osteocalcina si riducevano durante supplementazione con boro. La sua tossicità orale sembra essere bassa, ma alti livelli di boro (nel maiale) sembrano influenzare il metabolismo calcico, con osteoporosi e riduzione dell’attività paratiroidea. D’altra parte studi epidemiologici sembrano confermare che il consumo di alimenti contenenti boro porti ad una minore incidenza dell’osteoporosi. È chiaro quindi che il boro ricopre un ruolo fondamentale nel metabolismo calcico e che quantità sufficienti sono indispensabili per diminuire il rischio di osteoporosi. Alcuni studi hanno inoltre messo in evidenza un’influenza del boro sulle funzioni cerebrali: durante gli stadi di deplezione, l’EEG dimostra uno stato di vigilanza inferiore a quello durante il quale vi è una sua supplementazione. I dati a disposizione non permettono di indicare con certezza né i range né i livelli di assunzione raccomandata. Tuttavia l’OMS, in seguito a recenti ricerche, considera in via transitoria il fabbisogno minimo di 1 mg/die e fissa il limite superiore dei livelli medi di assunzione a 13 mg/die. Il boro è contenuto soprattutto nei vegetali, frutta secca e vino.
CALCIO
Il calcio (Ca) è il minerale più rappresentato nell’organismo. La maggior parte di esso è contenuto nelle ossa e nei denti e svolge quindi funzioni plastiche, mentre una piccola parte circola nel sangue ed è la frazione impegnata in importanti ruoli biochimici. Le principali attività metaboliche del calcio sono le seguenti: – controllo della eccitabilità neuromuscolare; – coagulazione del sangue (attivazione della protrombina); – controllo della adesività intercellulare; – attivazione di alcuni enzimi digestivi; o funzionalità e permeabilità della membrana cellulare; – contrazione muscolare; – inibizione della secrezione di istamina; – attivazione dei meccanismi di difesa; – sintesi del DNA; – rilascio di neuro-ormoni da parte di terminazioni nervose. Qui di seguito sono elencate le fonti alimentari più comuni di calcio (in mg per 100 grammi di parte edibile): – meno di 100 mg – carne e pesce, quasi tutta la verdura e la frutta, la maggior parte dei legumi, i cereali. – tra 101 mg e 400 mg – aringa, formaggio brie, broccoli, cavolo nero, ceci secchi, cioccolato al latte, coste, erba cipollina, farina di soia, latte, mandorle dolci, mozzarella, nocciole, prezzemolo, sardine sott’olio, scamorza, semi di soia, spinaci, yogurt. – oltre 401 mg – quasi tutti i formaggi e il sesamo. Al mineralogramma l’eccesso di calcio può indicare sia un apporto dietetico eccessivo, sia l’aumento del riassorbimento renale e osseo. Gli autori americani ritengono l’eccesso di calcio un indice di iperattività del sistema parasimpatico, a cui vengono riferiti sintomi o tendenze come l’invecchiamento, tutti i processi degenerativi e l’osteoporosi. Un basso livello di calcio può essere indice di insufficienza nell’introduzione alimentare di calcio o di difetti nell’assorbimento: disbiosi intestinale, consumo di alimenti contenenti acido fitico (cereali integrali) o acido ossalico (spinaci e pomodori), eccessivo consumo di zuccheri raffinati e grassi. Eccesso o carenza possono essere inoltre rilevati in presenza di alti livelli di minerali tossici; in questo caso spesso si avrà la stessa situazione per il magnesio, mentre sarà opposta quella di sodio e potassio. Una dieta ricca di calcio e di fitati sembra inibire peraltro la possibilità di assorbire piombo. La conoscenza di questi fattori è particolarmente utile in gravidanza, in quanto i danni da piombo, che passa attraverso la barriera placentare e poi nel latte materno, sono molto più elevati nel feto e nel lattante, decisamente più sensibili ai metalli tossici. Per questo motivo la valutazione con mineralogramma di calcio, ferro, zinco e selenio, che sono in diversa misura correlati ad un controllo dell’assorbimento dei metalli tossici (Pb, Hg e Cd) risulta importante per guidare correzioni dietologiche e/o integrative durante il periodo di gravidanza e di allattamento.
COBALTO
Il cobalto (Co) è presente in piccolissima quantità nell’organismo e viene fissato alla vitamina B12. La sua carenza, inibendo l’efficienza della vitamina B12, può determinare il rallentamento della crescita, infertilità e soprattutto anemia. Oltre a questa azione, il cobalto attiva numerose reazioni enzimatiche e ha una azione modulatrice sul sistema neurovegetativo, in particolare sulle sue componenti di controllo del sistema digestivo. Il fabbisogno giornaliero di cobalto è particolarmente contenuto (circa 0,1 nanogrammo). Il cobalto è presente in tutti gli alimenti di derivazione animale, e la carenza dietetica si verifica quasi esclusivamente per problemi di assorbimento intestinale o a seguito di diete vegetariane strette (veganismo). L’intossicazione non si verifica normalmente per eccessi dietetici, ma per ragioni professionali e determina lesioni a diversi organi (fegato, rene e tiroide) e poliglobulia. Il cobalto non si distribuisce ampiamente nei tessuti e viene eliminato molto rapidamente. Per questa ragione il contenuto di cobalto nel capello non è molto attendibile. La sua integrazione può essere comunque decisa in base al risultato dell’analisi, in particolare per il suo ruolo riequilibrante e anti-anemico. La facilità con cui viene eliminato e la scarsa tossicità intrinseca pongono in ogni caso rari problemi di accumulo, quasi mai alimentare ma generalmente dovuto a inquinamento industriale o professionale. In genere viene associato a manganese, rame e ferro per il trattamento delle anemie sideropeniche.
CROMO
Il cromo (Cr) è un elemento presente in tracce nell’organismo: gli vengono oggi attribuite tre importanti funzioni. La prima riguarda la regolazione degli zuccheri nel sangue: non svolge un’azione ipoglicemizzante diretta, ma sicuramente potenzia l’azione dell’insulina, legandosi ai recettori periferici e attivandoli. La seconda funzione riguarda l’attività di riduzione sulle placche ateromasiche presenti sulle arterie: sembra che il cromo abbia addirittura la proprietà di scioglierle. Questa attività sembra essere aumentata dal magnesio, che sviluppa quindi un’azione sinergica, mentre è contrastata da alti livelli di rame, il che evidenzia un’azione antagonista. Una terza funzione, non ancora chiarita in modo preciso, è il potenziamento dell’azione anticorpale che si deduce dalla diminuzione dei livelli serici di cromo in caso di infiammazione, probabilmente perché viene sequestrato dal sistema immunitario per aumentarne e modularne l’attività. Il fabbisogno giornaliero di cromo è valutato in 1 mcg. L’assorbimento intestinale è però molto difficoltoso: ne viene assorbito solo l’1% di quello introdotto con la dieta, rendendo necessario un apporto dietetico di almeno 50-200 mcg/giorno. La raffinazione dei cibi e la scarsità nei terreni e nelle acque non consentono un apporto sufficiente al fabbisogno stimato ed è per questa ragione che al mineralogramma è quasi sempre carente. Gli alimenti più ricchi di cromo sono il lievito di birra, la crusca, il frumento integrale, le ostriche e il germe di grano. Come già accennato il cromo è risultato particolarmente importante a diversi livelli, soprattutto come fattore di protezione dalla formazione di placche aterosclerotiche nelle arterie e dall’insorgenza di diabete o di iperglicemie pre-diabetiche. In tutte queste condizioni e in quelle che indirettamente possono favorirle (gravidanza, terapie estrogeniche, ipotiroidismo, età avanzata) il mineralogramma può guidare l’eventuale terapia integrativa, in particolare a livello preventivo.
FERRO
IIl ferro (Fe) ha molteplici ruoli nell’organismo. Fondamentale è la sua presenza nell’emoglobina, per il trasporto di ossigeno e di anidride carbonica dai polmoni ai tessuti e viceversa. Inoltre è indispensabile alla sintesi del DNA e viene richiesto in maggiori quantità in presenza di intensa riproduzione cellulare: per questo motivo il fabbisogno è più forte negli organismi in crescita, cioè nell’infanzia, nell’adolescenza, nelle donne in gravidanza e durante l’allattamento. Il fabbisogno può aumentare anche in condizioni di perdite di sangue e quindi di ferro, come durante le mestruazioni se il ciclo è frequente e abbondante. L’influenza del ferro si estende anche al campo immunitario: la sua carenza, infatti, predispone alle infezioni batteriche. Anche nel campo delle neoplasie il ruolo del ferro sembra essere importante, ma i dati oggi a disposizione non consentono ancora di formulare ipotesi precise. Le richieste fisiologiche di ferro sono intorno a 1-2 mg al giorno. L’assorbimento è di circa il 5-10% di tutto il ferro introdotto, che quindi deve raggiungere almeno i 15-25 mg, fornito soprattutto dalle proteine animali. La percentuale di effettivo assorbimento viene facilitata da vitamina C, vitamine B, acido folico, cobalto, rame, acido cloridrico e dalla presenza nella dieta di proteine animali (il ferro presente nei vegetali è infatti molto meno disponibile). Al contrario l’assorbimento del ferro viene ostacolato dalla presenza nella dieta di eccessive quantità di tè, caffè, di antiacidi e fitati, presenti nei cereali. Il più importante effetto della carenza di ferro è l’anemia, che si manifesta clinicamente con affaticamento, cefalea, vertigini, alterazione del ritmo cardiaco e febbricola. L’aggravamento dell’anemia porta sintomi a carico della pelle e delle unghie e irregolarità mestruali. Il deposito nei tessuti di quantità eccessive di ferro è noto invece come emosi, derosi o emocromatosi. Il ferro si deposita soprattutto nel fegato, nella milza e nel pancreas, di cui provoca alterazioni strutturali e gravi danni. Emicrania, infezioni batteriche ricorrenti e disturbi emotivi come iperattività e aggressività sono altri possibili segni di accumulo tessutale di ferro. Particolarmente utile il mineralogramma in gravidanza, per monitorare gli eventuali apporti aggiuntivi di ferro. Infatti la carenza, oltre a favorire l’instaurarsi di anemia, favorisce l’assorbimento di piombo, a cui il feto è particolarmente sensibile. Il contenuto di ferro negli alimenti varia da 1 a 10 mg per 100 g: carne (2-10 mg), molluschi (3-5 mg), cereali (1-2 mg), germe di grano (8 mg), crusca (4 mg), legumi (7-10 mg), verdure, pesce, frutta e latticini (< 1 mg).
FOSFORO
Il fosforo (P) nell’organismo è legato alla produzione di energia, che è utilizzata dalle cellule per compiere i diversi compiti loro assegnati. È inoltre coinvolto nella formazione delle ossa, dei denti e dei fosfolipidi indispensabili al corretto funzionamento del sistema nervoso. Entra nella costruzione della membrana che circonda la cellula e ne rende possibili gli scambi tra interno ed esterno. L’assunzione giornaliera raccomandata di fosforo è di circa 800-1000 mg, quantità ampiamente superata nella alimentazione occidentale, data la diffusione di questo elemento nei terreni (concimi fosforici, residui industriali) e il suo inserimento in molti additivi alimentari. Il fosforo non sembra esercitare alcun effetto tossico anche in dosi notevoli, ma un suo eccesso può sbilanciare il rapporto tra calcio e fosforo. A livello intestinale il fosforo è ben assorbito (fino al 90%) e può entrare in competizione con l’assorbimento di altri minerali, meno “dotati” in tal senso. Al mineralogramma il riscontro di elevati livelli di fosforo rispecchia normalmente l’eccedenza alimentare. Sul piano clinico possono manifestarsi sintomi quali eccitazione mentale, inquietudine, fenomeni legati all’ansia, tendenza all’esaurimento rapido delle risorse con facile stancabilità, insonnia. La carenza di fosforo nell’organismo si manifesta invece con problemi legati alla crescita dei denti e delle ossa, depressione, tendenza alla degenerazione cellulare e anemia. In generale il basso livello di fosforo nei capelli è indice di forte squilibrio alimentare e può verificarsi in condizioni di alterazioni nutrizionali, come quelle che si verificano durante l’anoressia o l’alcolismo. Contenuto medio di fosforo negli alimenti (mg per 100 g): – Proteine: (legumi, carne, formaggi, uova, pesce) da 150 a 600 mg. – Carboidrati: – farine bianche 100-150 mg. – farine integrali 200-300 mg. – Frutta e verdura: 30-100 mg.
IODIO
L’importanza dello iodio (I) come elemento di valore nutrizionale è ormai chiarita da tempo. Gli effetti della sua carenza vengono oggi raggruppati con il termine IDD (Iodine Deficiency Disorders ) e sono visibili a tutti gli stadi dello sviluppo umano. I suoi effetti sul funzionamento della tiroide, i segni di carenza e di tossicità, sono oggetto di studi da parte dell’OMS che, in tutto il mondo, ha sollecitato e proposto l’attuazione di piani integrativi diffusi per evitare la carenza di iodio che colpiva, e colpisce in parte ancora, intere popolazioni. L’eliminazione degli IDD risulta nei programmi istituzionali di moltissime nazioni, in quanto questi disturbi sono ritenuti un fondamentale problema di salute pubblica. L’uso di iodio come integratore deve essere giustificato da dati clinici e di laboratorio: le sole variazioni al mineralogramma non sono sufficienti a giustificare l’intervento terapeutico che deve essere condotto sotto il controllo medico.
LITIO
Il litio (Li) ad alti dosaggi viene usato in terapia come trattamento delle sindromi maniaco-depressive. Ai dosaggi abitualmente prescritti, tali da mantenere il suo livello ematico compreso tra 7 e 10 mcg/ml, il margine di sicurezza è piuttosto ridotto in quanto a livelli leggermente superiori il litio è tossico. Se si escludono le ghiandole endocrine ed esocrine e alcune aree del cervello dove la sua concentrazione viene mantenuta a livelli quasi normali anche dopo deplezione, negli altri tessuti la sua concentrazione riflette il suo apporto alimentare normalmente corrispondente allo 0,1% delle dosi considerate terapeutiche. Il mineralogramma sembra quindi essere attendibile per una valutazione dell’esposizione alimentare. Accanto al ruolo di stabilizzazione dell’umore stanno emergendo altre funzioni attribuite al litio, sebbene siano richiesti a tale proposito studi conclusivi (funzione immunitaria, sulla decontrazione muscolare, regolazione dell’umore a bassi dosaggi in sindromi nevrotiche). Ai dosaggi usati nella terapia con oligoelementi la somministrazione non presenta rischi di sovradosaggio e non presenta effetti collaterali accertati. È diffuso negli alimenti (in particolare alghe, caffè e cacao). La valutazione del suo livello nei capelli non risulta correlata con sicurezza ai dati clinici.
MAGNESIO
Il ruolo fondamentale del magnesio è quello legato alla produzione di energia, insieme a calcio e fosforo. Molti sintomi di carenza di magnesio (ipercinesia, irritabilità, depressione, convulsioni, disturbi del sonno, perdita di appetito) indicano un ruolo importante nell’equilibrio delle funzioni nervose e di trasmissione mentre i crampi, gli spasmi, le calcificazioni o al contrario la formazione di tessuto osseo non sufficientemente compatto e di calcoli renali indicano l’importanza di mantenere il magnesio in corretto rapporto con il calcio. Nel corpo umano il magnesio è contenuto soprattutto nelle ossa e nei denti (circa il 70%). Del restante 30%, parte si trova nei tessuti molli (fegato, rene e cervello), parte è legato alle proteine del sangue, e una minima parte è ionizzata e quindi biodisponibile per le attività di catalizzazione di volta in volta necessarie. Il fabbisogno giornaliero di una persona adulta è di circa 350-500 mg, di cui la metà viene normalmente assorbita attraverso l’intestino. È ovvio che alcune alterazioni intestinali (diarree prolungate, gastroenteriti, malassorbimento, pancreatiti), o alterazioni nutrizionali (anoressia, alcolismo, introduzione eccessiva di latte) o problemi di tipo metabolico generale come il diabete o alcune malattie renali possono portare a condizioni di carenza e quindi ai già citati sintomi nervosi. Un sufficiente apporto di magnesio con la dieta viene inoltre ritenuto importante per limitare la formazione di calcoli renali, l’ipercolesterolemia e l’ipertensione. Calcio e potassio, oltre al magnesio, sono inoltre necessari in presenza di crampi muscolari. Attraverso il mineralogramma si possono ottenere importanti informazioni circa il contenuto di magnesio a livello cellulare e sul suo rapporto con altri nutrienti come il calcio. Nel sangue infatti il suo livello tende a rimanere costante e le eventuali variazioni non riflettono il valore del magnesio cellulare. Un eccesso di magnesio al mineralogramma riflette condizioni di accumulo dovuto sia ad eccessiva introduzione alimentare o eccessivo riassorbimento osseo, come nell’osteoporosi, sia ad una carenza relativa di calcio, con cui il magnesio condivide meccanismi di trasporto, assorbimento ed eliminazione. Secondo gli autori americani una carenza di magnesio, spesso associata a quella del calcio e un relativo eccesso di fosforo, sodio e potassio possono indicare una condizione di simpaticotonia, cioè un eccesso di attività delle ghiandole surrenali, legata il più delle volte ad una condizione reattiva allo stress. Contenuto medio di magnesio negli alimenti (mg per 100 g): – Cacao 4000 mg – Cioccolato 100 mg – Gamberi di mare 65 mg – Spinaci 60 mg – Legumi secchi 100-250 mg – Frutta secca 50-250 mg – Cereali integrali 100-600mg
MANGANESE
Il manganese (Mn) regola il metabolismo glucidico, la sintesi del colesterolo, del tessuto connettivo e cartilagineo, facilita la coagulazione in sinergia con la vitamina K ed è necessario per la protezione delle membrane cellulari. Attraverso la catalizzazione dell’enzima superossido-dismutasi attiva la difesa dai radicali liberi. Le principali indicazioni cliniche alla sua integrazione, soprattutto quando se ne è evidenziata la carenza, e che derivano dalla conoscenza delle funzioni sopracitate, sono quindi artrosi, artriti, ipocolesterolemia, prevenzione delle patologie di tipo degenerativo, iperglicemie e infezioni ricorrenti. Anche se gli studi clinici non sono conclusivi, è stato osservato che in alcuni tipi di epilessia le concentrazioni ematiche di manganese erano basse. Il fabbisogno giornaliero di manganese non è stato stabilito in via definitiva; l’orientamento americano, secondo il National Research Council (1989) è stato quello di fissarlo in via provvisoria tra 2 e 5 mg/die. Il suo assorbimento e la sua eliminazione, quindi la sua omeostasi, sembra essere fortemente dipendente dall’apporto alimentare. È scarso in tutte le proteine e nei cereali raffinati, mentre ne sono più ricchi gli alimenti vegetali, in particolare il germe di grano, diversi tipi di semi, la frutta secca, i legumi e i cereali integrali. Il mineralogramma segnala bene la carenza di manganese, dovuta spesso a carenze di tipo alimentare. L’intossicazione cronica, evenienza di carattere professionale per consumo di acque ricche di manganese o per inquinamento, provoca sintomi di carattere nervoso, come spasmi, iperflessia e altri in parte sovrapponibili a quelli dovuti alla carenza (convulsioni epilettiche, psicosi, sindromi Parkinson-simili). Nelle patologie da cattiva efficienza del sistema immunitario, il controllo al mineralogramma delle eventuali carenze di manganese, rame e zinco, permette l’impostazione di una terapia integrativa bilanciata (TIB).
MOLIBDENO
L’attività essenziale del molibdeno (Mo) riguarda il suo coinvolgimento in diverse attività enzimatiche, tra cui quella della xantina-deidrogenasi / ossidasi. Questo enzima è coinvolto nel metabolismo degli acidi urici. La diminuzione dell’attività di questo enzima provoca xantinuria e la possibile formazione di calcoli renali. L’enzima può anche reagire con l’ossigeno, innescando la produzione di radicali liberi. L’eccesso o la carenza di molibdeno sembra riflettersi sull’aumento o sulla diminuzione dell’attività di questo e di altri enzimi (solfitoossidasi epatica). Numerosi studi confermano comunque la natura del molibdeno come oligoelemento essenziale. Sembra che una adeguata assunzione possa diminuire l’insorgenza del cancro esofageo e gastrico, e possa proteggere lo smalto dei denti, diminuendo l’incidenza della carie dentaria. La sua relazione con acidi urici e gotta è tuttora controversa: un eccesso di molibdeno e quindi l’aumento dell’attività della xantina-deidrogenasi favorisce l’aumento della concentrazione ematica e urinaria degli acidi urici. Il molibdeno (esavalente) viene prontamente assorbito nel tratto digerente, sebbene sia stato segnalato un antagonismo con i solfati derivati dalla degradazione delle proteine e dall’ossidazione della metionina e della cisteina. Il fabbisogno giornaliero di molibdeno è stato stabilito sulla base dei livelli medi di assunzione quotidiana e sulla base di alcuni studi e si colloca tra i 50 e i 150 mcg/die. Dato il numero esiguo di studi non è ancora stato stabilito un range di sicurezza. È però stata rilevata una elevata incidenza di gotta nelle diete che forniscono tra i 10 e i 15 mg/die di molibdeno.
NICHEL
Il corpo umano contiene tracce di questo minerale (circa 1 mg), che si concentra nel pancreas, nelle ossa ma anche nella saliva, nel sudore e nel siero. La sua carenza è stata messa in relazione ad una riduzione della crescita e della emopoiesi. L’utilizzazione del ferro, in stati di carenza anche marginali, sembra essere compromessa. Il fabbisogno di nichel (Ni) non è stato stabilito con certezza ma per lo svolgimento delle funzioni fisiologiche ad esso attribuite sembra siano necessarie quantità di nichel molto basse. Il suo fabbisogno è stato ipotizzato in meno di 100 mcg/die. Viene assorbito in percentuale piuttosto elevata (50%) e il suo assorbimento, probabilmente per filtrazione, è facilitato se lo ione è legato ad un amminoacido o ad un complesso a basso peso molecolare. La sua tossicità intrinseca, evento raro grazie agli eccellenti meccanismi di omeostasi, è comunque non lontana da quella considerata fisiologica. Per prudenza, le indicazioni suggerite sono quelle di considerare come massimo livello, prima della comparsa di fenomeni tossici, l’introduzione di 600 mcg/die. Gli eventi negativi più frequenti in relazione al nichel sono la dermatite da contatto o l’irritazione intestinale, sostenute entrambe dal solfato di nichel. La valutazione spettrofotometrica del suo contenuto nel capello è necessaria per valutare gli eventuali eccessi o per monitorare le terapia integrative. Secondo alcuni autori, il suo eccesso è legato ad intossicazione da fumo e correlato al carcinoma uterino, ma queste ipotesi devono essere ancora confermate.
POTASSIO
Il potassio (K) si trova quasi totalmente all’interno delle cellule dove è coinvolto in diverse funzioni, come la produzione energetica, la sintesi proteica, il controllo del ritmo cardiaco e della tonicità dei muscoli. Inoltre il potassio contribuisce al controllo della pressione arteriosa, favorendo l’escrezione renale del sodio e diminuendo così edemi e ritenzione idrica. Dopo calcio e fosforo è il minerale più abbondante nell’organismo umano. La dieta di solito garantisce l’apporto giornaliero raccomandato (RDA) che è circa 2000-6000 mg, quantità che dovrebbe mantenersi circa doppia rispetto a quella del sodio. Non sempre questo rapporto è rispettato, soprattutto nel caso vengano consumati in prevalenza cibi conservati come gli insaccati, ricchi di sodio, unitamente a poca verdura e poca frutta, alimenti ricchi invece in potassio. Il potassio viene assorbito a livello del colon ed escreto a livello renale. Gli sforzi muscolari tendono a determinare una diminuzione temporanea di potassio che, lo si è detto, è estremamente importante per il ritmo e la conduzione cardiaca. Per tale motivo è opportuno assumere integratori potassici, o frullati di arance, pompelmi e banane, prima o durante sforzi prolungati. Cause di perdita di potassio sono l’uso di diuretici, diarrea, vomito, consumo di cibi molto salati, terapie cortisoniche o il diabete, l’ipertensione, le malattie del colon e quelle del fegato. L’ingestione costante e abbondante di bevande alcoliche provoca spesso perdita di potassio e di magnesio. L’eccesso o la carenza di potassio al mineralogramma è indice attendibile di insufficiente apporto (dieta povera in frutta e verdura e ricca in cibi conservati di fonte animale), scarso assorbimento intestinale (malattie del colon) o escrezione urinaria aumentata (malattie del rene). L’eccesso di potassio si ritrova anche nell’insufficienza renale per difetto di eliminazione. 1 / 2 Potassio Un suo valore elevato al mineralogramma è stato anche messo in relazione a problemi tiroidei di carattere funzionale (rapporto calcio-potassio, inibente il primo, stimolante il secondo). La carenza di potassio assieme all’eccesso di calcio e sodio è una condizione di particolare rilevanza, quindi possibilmente da correggere, nell’ipertensione arteriosa. Contenuto medio di potassio in alcuni alimenti (mg per 100 g): – Latticini in generale 100-150 mg – Pane, pasta 120-150 mg – Carni e pesce 200-400 mg – Frutta e verdura fresca 200-400 mg – Frutta secca 600-1000 mg – Cacao 2000 mg – Cioccolato 1000 mg – Soia e farina di soia 1800 mg
RAME
Il rame (Cu), presente in piccole quantità nell’organismo, svolge funzioni di catalizzazione in molte reazioni enzimatiche tra cui quelle con funzioni antiossidanti (superossido-dismutasi, citocromossidasi) e di protezione del sistema vasale (produzione di elastina e collagene). Partecipa al metabolismo del ferro e dell’emoglobina (ceruloplasmina, eritrocupreina) in funzione antianemica. Ricopre un ruolo specifico di stimolo sui leucociti nel combattere in generale le malattie infettive. I sintomi dovuti ad una sua carenza comprendono anemia ipocromica, neutropenia, alterazioni della pigmentazione dei capelli e della cute, anomalie della formazione ossea che possono portare a fragilità scheletrica e osteoporosi e infine disturbi vascolari. La sua carenza, soprattutto in relazione allo zinco, produce inoltre un abbassamento del colesterolo HDL e un aumento del LDL, predisponenti alla malattia coronarica. Tutti gli indici ematici, urinari e nei capelli diminuiscono in caso di carenza franca, ma non è ancora completamente chiarita la loro diversa sensibilità a stati di carenza marginale. Secondo studi recenti le diete non fornirebbero il livello minimo giornaliero considerato sicuro, cioè per gli adulti 1-2 mg/die. Va inoltre considerato che l’assorbimento intestinale (tra il 40 e il 60% nelle forme solubili di rame introdotte) è influenzato da diversi fattori che ne alterano la biodisponibilità. Ne aumentano l’assorbimento diete con elevate quantità di proteine (> di 100 g) mentre ne riducono l’assorbimento elevate quantità di integratori di zinco (> di 100 mg/die), di vitamina C (> di 1500 mg/die) e di antiacidi. Il rame assorbito con gli alimenti si deposita soprattutto nel fegato, che lo trattiene anche a scopo protettivo. In generale quasi tutti gli alimenti ne contengono meno di 1 mg per 100 g di parte edibile eccetto le ostriche (2,5 mg), il fegato (4-6 mg), la frutta secca (1-4 mg) e il cioccolato (2 mg). Il rame è anche assunto attraverso l’acqua potabile se le tubature sono in rame. L’intossicazione acuta avviene di solito per ingestione di cibi o bevande contaminati, in genere a causa della loro conservazione in recipienti in rame, e provoca sintomi gravi. La tossicità cronica di rame produce sintomi meno evidenti almeno all’inizio, ma il suo perdurare può provocare lesioni epatiche, in quanto si deposita preferenzialmente in quest’organo. La malattia di Wilson (deposito di rame nel fegato) dipende da un difetto metabolico congenito e non viene rilevata al mineralogramma. L’eccesso di rame rilevato al mineralogramma può dipendere da eccessiva introduzione alimentare o per difficoltà di escrezione e di eliminazione. Alcuni trattamenti per capelli o la frequente immersione in piscine che usano trattamenti antialghe contenenti rame può segnalare un eccesso di rame al mineralogramma, che non riveste alcun significato sistemico e che deve essere differenziato da altre cause di accumulo sistemico.
SELENIO
Il selenio (Se) è contenuto in quantità minime nell’organismo. È potenzialmente tossico anche a dosaggi non elevati, di poco superiori al fabbisogno, ed un suo eccesso può essere dannoso. L’intossicazione cronica procura disturbi cutanei, respiratori e visivi, mentre quella acuta si manifesta con sintomi comuni a molte intossicazioni (diarrea, dolori addominali, febbre e sintomi nervosi). Il selenio è uno dei principali elementi di protezione dai danni dei radicali liberi. La sua azione è sinergica a quella della vitamina E, antiossidante di protezione delle membrane cellulari. La sua azione si esplica a livello del sistema cardiovascolare, soprattutto come cofattore per il controllo della pressione arteriosa, per la prevenzione dell’infarto miocardico e di alcune cardiopatie (morbo di Keshan). Insieme allo zinco è l’oligoelemento più spesso indicato per rimuovere gli accumuli di metalli tossici dall’organismo. Sembra inoltre che una proteina enzimatica contenente selenio sia coinvolta nella sintesi della triiodotironina a partire dalla tiroxina, e che la carenza di selenio riduca fortemente l’attività della 5-deiodinasi, responsabile della conversione della T4 in T3, rendendo particolarmente gravi le situazioni di marcata carenza multipla di iodio e selenio. Altri studi hanno evidenziato in presenza di carenza di selenio la comparsa di degenerazione articolare (morbo di Keshan-Beck) e una depressione dell’attività microbicida dei neutrofili. Recenti osservazioni hanno precisato che la patogenesi del morbo di Keshan, chiaramente legata ad una carenza di selenio e vitamina E, è dovuta probabilmente all’aumento della cardiotossicità di enterovirus (coxsackie) indotta dall’aumento della virulenza, per modificazioni genetiche del virus stesso, indotte queste ultime dalla carenza di vitamina E e selenio. Il ruolo del selenio e della vitamina E come fattori di protezione e di resistenza alle infezioni di tipo virale, indica un importante campo di ricerca e di terapia preventiva. Il mineralogramma in questo senso può essere uno strumento di screening e di monitoraggio estremamente utile per le terapie preventive prolungate. Il fabbisogno giornaliero di selenio varia tra 50 e 150 mcg/die. L’assorbimento intestinale è buono e la biodisponibilità negli alimenti è alta per cereali, carni, molluschi e crostacei, mentre sembra piuttosto bassa ad esempio in alcuni pesci, come il tonno. A livello di integratori, il selenio fornito dai cereali (frumento) ha una biodisponibilità almeno dell’80%, come il selenio sotto forma di selenito, mentre arriva anche al 90% come selenometionina. La quantità di selenio presente nei cibi è fortemente influenzata dal tipo di terreno e dai trattamenti subiti: in particolare i trattamenti a base di zolfo tendono a impoverirli in modo cospicuo. Il contenuto di selenio nel capello è un indice tra i più attendibili del suo contenuto tessutale. Il suo eccesso al mineralogramma può essere effetto dell’uso di alcuni shampoo antiforfora: in questo caso non vi è alcuna rilevanza a livello sistemico. L’eccessiva introduzione e accumulo di zolfo, di metalli pesanti (cadmio e mercurio) e di fosforo, che hanno un’azione antagonista, sono spesso riscontrati contemporaneamente a bassi livelli di selenio al mineralogramma. La tossicità nell’uomo si evidenzia con diversi sintomi, più frequentemente perdita si capelli e alterazioni delle unghie. In alcuni casi si sono osservate dermatosi vescicolare, disturbi neurologici (parestesie, paresi) e danni epatici, anche se gli studi a tale proposito non sono del tutto convincenti. I primi sintomi, come le alterazioni a carico dei capelli e delle unghie, compaiono, ma non in tutti i soggetti, per assunzioni di selenio superiori a 900 mcg/die.
SODIO
Il sodio (Na) è un elemento essenziale per il mantenimento di un rapporto corretto tra quantità di acqua e concentrazioni in sali minerali. Il suo aumento nei tessuti determina quindi una maggior presenza di liquidi, per mantenere costante il rapporto di diluizione. Per questo motivo il sodio possiede la caratteristica azione di “ritenzione” sui liquidi, che può portare ad un aumento della pressione sanguigna. È essenziale per il mantenimento dell’equilibrio acido-base e la produzione di acido cloridrico a livello dello stomaco, assieme al potassio. Il sodio permette inoltre la trasmissione nervosa e la contrazione muscolare. Il corpo umano contiene circa 1-1,5 g di sodio per kg di peso, per la maggior parte fluttuante nei liquidi extracellulari. Il fabbisogno giornaliero varia moltissimo in relazione al clima, temperatura e umidità, quindi alla sudorazione e all’acqua introdotta. La dieta occidentale copre di norma il fabbisogno, e anzi lo supera con l’introduzione di sodio tra i 3 e 10 g al giorno (in condizioni standard il fabbisogno è inferiore a 3 g). Inoltre in relazione al potassio il suo apporto dovrebbe mantenersi inferiore, in un rapporto di 1:3-4, ma normalmente questo non succede. L’assorbimento intestinale è molto efficace, così come, in condizioni normali, lo è l’escrezione renale. Il problema clinico maggiore è quello relativo al rapporto tra sale ed ipertensione arteriosa. Il mineralogramma fornisce indicazioni per una valutazione dello stato di carenza o di eccesso che riflette di norma l’introduzione alimentare, sebbene vi siano numerosi studi che rapportano eccesso e carenza ad alterazioni endogene. Ad esempio secondo la teoria di Watts la carenza di sodio a livello del mineralogramma sarebbe indice di iperattività del sistema parasimpatico (stanchezza, irritabilità, extrasistoli e stress cronico) con alterazione dei rapporti con il calcio e il magnesio a favore di questi ultimi. Nelle fasi di stress acuto o quando la risposta attiva è ancora possibile si verificherebbe la situazione opposta. La diminuzione del calcio e l’aumento del sodio sembrano inoltre essere tra le condizioni più frequenti nell’ipertensione. Secondo Eck la valutazione sulle condizioni dell’efficienza del sistema reattivo (surrenalico) sarebbe invece osservabile più correttamente analizzando il rapporto tra sodio e potassio. L’eccesso di sodio può invece riflettere semplicemente una eccessiva introduzione senza essere indice di squilibrio endocrino: in tal caso il riequilibrio passa sicuramente attraverso una restrizione dietetica (cibi ricchi in sale) e una sostituzione del sale comune con cloruro di potassio, se quest’ultimo non risulta in eccesso. Bassi livelli di sodio nel capello possono essere di solito riequilibrati agendo sul riassetto globale del quadro mineralografico, senza intervenire con integrazioni o aumenti dietetici diretti di sodio. Cibi ad alto contenuto di sodio (mg per 100 g): – Aringhe salate 5930 mg – Bresaola 2900 mg – Olive in salamoia 2100 mg – Salumi e formaggi 700-1800 mg – Formaggi freschi 250-700 mg Carni e pesce freschi, verdura, frutta e cereali sono cibi a basso contenuto di sodio.
STRONZIO
Lo stronzio (Sr) è chimicamente simile al calcio. Il suo livello nel capello è indicativo del livello di stronzio nell’organismo, e normalmente è correlato anche al livello di calcio nei tessuti organici. Il livello di stronzio nel capello può essere aumentato da contaminazioni esterne, di solito dai prodotti per i trattamenti dei capelli. Un elevato livello di stronzio sui capelli trattati con permanente, tinti o decolorati è probabilmente dovuto al trattamento subito e non riflette la situazione esistente negli altri tessuti. Non sono documentati disturbi correlati ad un eccesso di stronzio. In generale lo stronzio non causa problemi di tossicità, e alcuni ricercatori ritengono possa essere considerato un nutriente traccia per lo sviluppo di ossa e denti. Bassi livelli di stronzio sono stati correlati ad un indebolimento di denti e ossa. Una integrazione di stronzio è considerata importante per la normale crescita dei bambini. Importanti fonti alimentari di stronzio sono i cereali e il latte. Le possibili cause di una carenza di stronzio possono essere una dieta qualitativamente scarsa, povera di calcio e di vitamina D.
VANADIO
Le principali funzioni del vanadio (V), recentemente scoperte, riguardano l’attività dello ione come cofattore enzimatico nel metabolismo ormonale del glucosio, dei lipidi e di alcuni tessuti, come le ossa e i denti. Di certo sembra abbia una funzione nella regolazione dell’ATPasi scambiatrice di Na+ e K+ e degli enzimi della fosforilazione. La carenza di vanadio, almeno sperimentalmente, provoca maggiore probabilità di aborto e una maggiore mortalità nei piccoli. I livelli serici della creatinina e delle lipoproteine aumentano, mentre diminuiscono quelli del glucosio. In generale c’è una inibizione alla crescita, attraverso una diminuzione dell’attività tiroidea. I segni di tossicità non sono ben chiariti e riguardano il tratto gastrointestinale. Un’alta concentrazione tissutale di vanadio provoca una depressione importante della crescita. Nell’uomo, uno studio epidemiologico ha messo in evidenza un’associazione tra bassi livelli di assunzione e patologie cardiovascolari. Sempre nell’uomo l’ingestione di quantità eccessive di vanadio per via orale non sembra avere effetti tossici rilevanti, mentre la tossicità per via respiratoria, dovuta ad inquinamento ambientale, è molto più grave. Assorbimento e biodisponibilità sembrano piuttosto basse, anche se esistono ampie variazioni. In generale le diete molto raffinate contengono poco vanadio, che è contenuto soprattutto nei cereali integrali. Lo troviamo inoltre nelle lenticchie, nei piselli, negli spinaci nei funghi e nelle ostriche. L’assunzione quotidiana media è stata studiata dalla FDA, ed è compresa tra 6 e 18 mcg /die. Tuttavia il fabbisogno non è stato ancora stabilito, e neppure i range di sicurezza. Sicuri segni di tossicità sono stati evidenziati con assunzioni di 10 mg, ma anche 0,1 mg sembra possano avere effetti farmacologici. Non è quindi opportuno superare i 30 mcg/die di assunzione. La maggior parte delle diete ne fornisce 10-15 mcg/die.
ZINCO
Lo zinco (Zn) è un elemento essenziale per il corretto svolgimento di numerosissime reazioni enzimatiche, per la crescita corporea, lo sviluppo e la funzione sessuale. Nell’uomo influenza lo sviluppo degli organi sessuali e la funzione prostatica. La sua carenza può favorire l’ipertrofia e l’adenoma prostatico e rallentare la mobilità degli spermatozoi, favorendo l’infertilità maschile, mentre nelle donne può contribuire ad aggravare la dismenorrea. Sulla pelle lo zinco risulta efficace per ridurre l’acne, e inoltre la protegge da molte infezioni cutanee. Le sue proprietà antimicrobiche sono state evidenziate anche nel liquido prostatico: liquido seminale e sperma risultano in tal modo più protetti da infezioni. A livello immunitario lo zinco influenza la reattività dei linfociti e per questo motivo è indicato, dal punto di vista terapeutico, in tutte le alterazioni dell’immunità in senso deficitario (AIDS) come nell’iperattività (allergie). La sua capacità di legare i metalli tossici e quindi di diminuirne l’assorbimento viene sfruttata dal punto di vista terapeutico nei casi in cui si siano evidenziati accumuli di questi metalli nell’organismo. L’organismo umano contiene circa 2 g di zinco e la necessità giornaliera è di circa 3-5 mg nel bambino, 20 mg nell’adulto e 25-30 nelle donne in gravidanza. Il fabbisogno dipende però fortemente dalla biodisponibilità alimentare dello zinco, che subisce grandi variazioni secondo il tipo di dieta. Nelle diete ad alta biodisponibilità il fabbisogno può ridursi di quasi 1/4 rispetto a quelle a scarsa biodisponibilità. Queste le principali caratteristiche di tali regimi dietetici: – alta disponibilità: diete raffinate con poche fibre di cereali, scarse quantità di acido fitico, proteine di fonti non vegetali come carni e pesce; – moderata disponibilità: diete miste con proteine animali, diete vegetariane non strette o vegan non basate su cereali integrali; – scarsa disponibilità: diete ad alto contenuto di fibre e cereali integrali, proteine di origine vegetale, utilizzo di integratori a base di calcio o di cereali arricchiti con sale di calcio. L’assorbimento è generalmente discreto, circa il 20-30% di quello introdotto, ed è diminuito dalla presenza di fitati, contenuti nei cereali e da un eccesso di calcio. Gli alimenti più ricchi di zinco sono fegato, carne di manzo, ostriche, crostacei, gamberoni, lievito di birra, formaggio, semi di zucca e miglio. Per questa ragione le diete strettamente vegetariane possono determinare carenza di zinco. L’eccesso di zinco può portare ipercolesterolemia, facilità alle infezioni e anemia: queste situazioni sono correlate principalmente allo squilibrio che si può creare nel rapporto con il rame, che si riduce ulteriormente nelle situazioni di eccessivo apporto di zinco. Supplementazioni con 50 mg di zinco al giorno possono già influenzare negativamente lo status del rame (diminuzione dell’attività della superossido-dismutasi eritrocitaria), mentre 450 mg sono in grado di provocare anemia rame-dipendente. Un aumento di questo rapporto può inficiare di fatto i vantaggi apportati da una piena disponibilità di zinco tessutale. Quando viene evidenziato al mineralogramma un eccesso di metalli tossici, è indicata la somministrazione di zinco, anche se non vi è carenza di questo metallo, per la sua diretta azione di disintossicazione.
ZOLFO
Non vi sono dati o ricerche importanti su questo minerale, del resto presente nella dieta in modo ampio. La sua valutazione al mineralogramma è un dato di riferimento generale in quanto la captazione degli oligoelementi avviene grazie alla presenza di zolfo (S) contenuto nella cheratina. È in rapporto con il selenio: una sua eccessiva introduzione può limitare quella del selenio. Anche l’utilizzo come integratori di amminoacidi solforati potrebbe influenzare la presenza di zolfo a livello dei capelli. Queste ipotesi non risultano peraltro confermate da sufficienti studi. 1 /

Altri metalli


BARIO
Alcuni ricercatori considerano il bario (Ba) un elemento essenziale, ma la sua funzione metabolica non è dimostrata.
Il capello può essere utilizzato come monitoraggio per il bario contenuto nell’organismo. Elevati livelli di bario possono interferire con la metabolizzazione del calcio e con la ritenzione di potassio. Apporti eccessivi di sali solubili di bario (nitrati, solfuri, cloruri) possono risultare tossici.
Una ipertensione miocardica e muscolare, formicolio alle estremità e perdita di riflessi a livello tendineo sono manifestazioni di una possibile ingestione cronica di elevati livelli di bario.
Le principali fonti alimentari di bario sono latte, farina, patate e alcuni tipi di noci.
La misurazione nel sangue è una affidabile verifica di un eccesso di bario.
GERMANIO
Il germanio (Ge) è un elemento non essenziale con proprietà chimiche simili a quelle del silicio. È un importante semiconduttore usato nella fabbricazione di transistor e diodi. Inoltre è un “luminoforo” usato nelle lampade fluorescenti. Alcune leghe per utilizzo dentistico contengono germanio.
Basse concentrazioni di germanio (in ppm) sono presenti negli animali, nei pesci e nei vegetali con un apporto medio giornaliero per l’uomo di circa 1 a 3 mg.
Il germanio ha attività battericida ed è utilizzato in alcune terapie sperimentali come agente antitumorale. Il germanio organico (carbossi-etil-sesquiossido di germanio e sali lattati e citrati di germanio) è stato usato sperimentalmente come agente antivirale e immunostimolante (nell’AIDS).
Studi su animali hanno mostrato una bassa tossicità del germanio organico; ma le verifiche effettuate sull’uomo non sono ancora conclusive.
Il germanio inorganico è tossico a causa dei danni che arreca alla struttura cellulare renale.
Non ci sono dati che mettano in relazione l’elevato livello di germanio nel capello con eventuali effetti tossici. La carenza di germanio al mineralogramma non ha un significato clinico o fisiologico riconosciuto.
RUBIDIO
Il rubidio (Rb) è un elemento chimicamente simile al potassio; si trova nelle giacenze saline e minerali e nelle acque sature di potassio. È inoltre presente a bassa concentrazione nel suolo.
È usato nei dispositivi fotovoltaici e nella fabbricazione di vetri particolari.
Ha una tossicità relativamente bassa, inibisce l’attività del potassio e a livelli elevati può interferire nella captazione dello iodio.
Può inoltre interferire con le contrazioni muscolari (specialmente del muscolo cardiaco). Sono documentate alterazioni di comportamento negli stati maniaco-depressivi dopo somministrazione di rubidio.
TITANIO
Il titanio (Ti) è al nono posto come elemento metallico presente sulla crosta terrestre e ha proprietà chimiche simili a quelle dello zirconio e del vanadio. È presente in bassa concentrazione nella frutta e nei vegetali, mentre è presente ad elevata concentrazione nelle miniere (specialmente nelle miniere di ferro) e nella cenere da combustione di legna.
È di ampio utilizzo industriale, e un eccesso di titanio può essere il risultato di un’elevata esposizione professionale. È usato nelle leghe metalliche ed è utilizzato nella forma di biossido di titanio (TiO2) come guaina per cavi elettrici.
Il titanio come biossido è quasi inerte e quindi è considerato come un elemento non tossico.
Altre forme di titanio (nitruro, boruro, idruro, cloruro) possono provocare fibrosi tessutali come verificato da studi su animali. Negli animali a cui è stata somministrata acqua contenente 5 ppm di titanio non si è riscontrato alcun danno.
Elevati livelli di titanio nel capello sono dovuti a trattamenti artificiali come le tinture o i “colpi di sole”. Inoltre molti shampoo contengono biossido di titanio che può attaccarsi tenacemente ai capelli e può non essere completamente rimosso nei trattamenti di lavaggio effettuati prima dell’analisi spettrofotometrica.
ZIRCONIO
Lo zirconio (Zr) è un minerale duttile e tenace, abbastanza diffuso in natura, e viene utilizzato come materiale per la costruzione e il rivestimento dei reattori nucleari e come componente di leghe.
Lo zircone, un silicato di zirconio, nelle sue varietà limpide e di tinta omogenea viene impiegato come gemma (abbastanza pregiata).
Non vi sono attualmente dati che correlino la presenza di zirconio nel capello al suo contenuto nell’organismo, e nemmeno sono ancora chiare e definite le sue eventuali funzioni.

Indicazioni


EDTA (Acido etilen diamino teracetico)
Avvelenamento acuto da metalli pesanti
Avvelenamento cronico da metalli pesanti
Vasculopatie cerebrali pluriinfartuate
Cardiopatie con insufficienza coronaria stabilizzate non dilatative
Arteriopatia periferica in tutti gli stadi
Sclerodermia
Collagenopatie
Malattie neuro degenerative
Retinopatia in particolare degenerazione maculare senile
Diabete con complicanze vascolari
Nefropatie in fase iniziale
Complicanze dell’ipertensione
Epatopatie
Invecchiamento precoce
Intossicazioni da agenti ambientali (xenobiosi)
Effetti dei trattamenti radianti
Stress ossidativi
Calcolosi renale e morbo di dupuytren restano le indicazioni storiche

DMSA: (acido 2,3 meso dimercaptosuccinico)
Intossicazioni da piombo, mercurio, arsenico

Controindicazioni


EDTA: (Acido etilen diamino teracetico)
– Nefropatie in fase acuta
– Epatopatie acute
– Gravidanza

Possibili effetti collaterali:
– Ipoglicemia
– Ipotensione
– Spasmi muscolari da ipocalcemia durante la infusione.

DMSA: (acido 2,3 meso dimercaptosuccinico)
–         Gravidanza
–         Insufficienza renale acuta
–         Bambini al di sotto dei 12 mesi di età

Possibili effetti collaterali:
– Brividi e febbricola, lievi disturbi gastrointestinali

Strumenti


La terapia chelante con EDTA è somministrata per via endovenosa diluita in soluzione sterile ad una giusta osmolarità. L’infusione deve avvenire in un lasso di tempo compreso fra 1 ora e mezzo e tre ore in ambulatorio medico mentre la frequenza dei trattamenti è usualmente di una o due volte alla settimana.
Per i pazienti sintomatici una serie di trenta o più infusioni può essere indicata.